“Soft Skills a bordo campo”

“𝘘𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘴𝘪 𝘮𝘪𝘨𝘭𝘪𝘰𝘳𝘢 𝘶𝘯 𝘱𝘰’ 𝘰𝘨𝘯𝘪 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘰, 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘧𝘪𝘯𝘦 𝘢𝘤𝘤𝘢𝘥𝘰𝘯𝘰 𝘨𝘳𝘢𝘯𝘥𝘪 𝘤𝘰𝘴𝘦.”

– John Wooden

Dalla collaborazione con Chiesanuova 1975 ASD nasce “𝗦𝗼𝗳𝘁 𝗦𝗸𝗶𝗹𝗹𝘀 𝗮 𝗯𝗼𝗿𝗱𝗼 𝗰𝗮𝗺𝗽𝗼”, percorso per allenare le competenze relazionali dello staff tecnico della società sportiva.

Nel corso di 3 incontri saranno affrontati temi quali
1⃣ leadership efficace
2⃣ comunicazione e relazione con i giovani atleti
3⃣ elementi di Coaching

Gli allenatori sportivi del Chiesanuova 1975 ASD saranno accompagnati in un percorso volto a potenziare le loro competenze relazionali fino ad implementare alcuni strumenti di Coaching nella propria “cassetta degli attrezzi”.

Sport Coaching per la stagione sportiva 2022/23

Inizio ufficiale della collaborazione come mental Coach anche per la stagione sportiva 2022/2023.

La società calcistica giovanile Chiesanuova 1975 ASD continua a investire non solo sulla preparazione tecnica, tattica e atletica dei propri giocatori ma anche sull’allenamento mentale.

I ragazzi saranno pertanto accompagnati a sviluppare il loro potenziale anche nelle aree dei pensieri, sensazioni ed emozioni per affrontare nelle migliori condizioni la prestazione sportiva, sia in allenamento sia in partita.

Sport Coaching con adolescenti

Perché svolgere un percorso di mental coaching con giovani calciatori di 13 anni?

Non per renderli più vincenti, più performanti.
Allenarli invece perché possano diventare il meglio di se stessi in ogni ambito di vita. L’applicazione mentale nello sport inteso quindi come “palestra”, per poi trasferire le abilità così acquisite nello studio, nelle relazioni… un domani nella professione.

Lo sport in questa visione è davvero una scuola di vita, che stimola a

  • porsi obiettivi,
  • impegnarsi duramente per raggiungerli,
  • saper differire le gratificazioni più immediate per perseguire dei risultati in futuro,
  • gestire le inevitabili sconfitte e saper tollerare la conseguente frustrazione,
  • imparare dai propri errori e individuare le proprie aree di miglioramento

tutte abilità trasversali che dal calcio possono e devono essere trasferite e impiegate in ogni ambito di vita.

Il potenziamento di queste abilità fondamentalmente richiede lo sviluppo di un certo tipo di mentalità, ed è per questo che lavorare con atleti adolescenti sulla definizione e perseguimento degli obiettivi, sul dialogo interno, sul controllo dell’attenzione ha un senso.
Con molte probabilità nessuno di questi ragazzi avrà una carriera calcistica professionistica, tutti invece sono 𝗰𝗵𝗶𝗮𝗺𝗮𝘁𝗶 𝗮 𝗱𝗶𝘃𝗲𝗻𝘁𝗮𝗿𝗲 uomini adulti, autonomi, responsabili, realizzando il meglio di sé.

Sono contento di aver incontrato la società Chiesanuova 1975 ASD e i genitori dei ragazzi che, con lungimiranza, hanno condiviso in pieno questa visione.

Collaborazione sportiva

Inizia ufficialmente la mia 𝗰𝗼𝗹𝗹𝗮𝗯𝗼𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗠𝗲𝗻𝘁𝗮𝗹 𝗖𝗼𝗮𝗰𝗵 della società calcistica 𝗖𝗵𝗶𝗲𝘀𝗮𝗻𝘂𝗼𝘃𝗮 𝟭𝟵𝟳𝟱 𝗔𝗦𝗗 di Prato per i gruppi squadra 2005 e 2009. Avrò il piacere di collaborare con Mister Marco Tesco e Mister Gabriele Pecoraro nell’accompagnare i loro ragazzi in un percorso di miglioramento dell’approccio mentale alla prestazione sportiva.

Perché il calcio non può bastare

[Tempo di lettura: 4,5 minuti]

Anni fa, ad un convegno ascoltai un educatore dire durante il suo intervento che quando un ragazzo a 13/14 anni ha per interesse solo il calcio deve scattare un “campanello d’allarme” per i genitori.
Sul momento non compresi il senso dell’affermazione: mi piaceva il calcio, ambedue i miei figli maschi lo praticavano in una squadra giovanile, io ero dirigente accompagnatore della stessa.

Nel tempo, l’attività svolta come direttore e formatore al Club Prato Boys e al Polis Club, e il conseguente confronto frequente con i bambini e i ragazzi, alcuni particolarmente impegnati nella pratica sportiva, mi ha fatto comprendere appieno il senso di quanto avevo ascoltato.

Lo sport ha sicuramente, almeno in potenza, la capacità di veicolare tutta una serie di valori positivi (impegno, spirito di squadra, rispetto, lealtà, competizione, dedizione, spirito di sacrificio, altruismo…) ma molte volte, e nel calcio giovanile più che in altre discipline, l’attenzione prematura al solo risultato, la forte tensione agonistica a scapito dell’aspetto più propriamente ludico, rappresentano un ostacolo per la considerazione puntuale delle prioritarie necessità educative dei ragazzi.

Fra queste una delle più penalizzate è lo sviluppo della capacità di costruirsi delle relazioni significative di amicizia.

Nell’infanzia i bambini si cercano per giocare, per farsi compagnia, per soddisfare una serie di bisogni primari che fanno sì che un bambino nutra naturalmente simpatia verso coloro che li soddisfano meglio e che lo valorizzano e, viceversa, antipatie verso coloro che non rispondono adeguatamente a questi bisogni.

Con la pre-adolescenza e l’adolescenza inizia invece a strutturarsi un nuovo assetto di amicizia che va oltre l’essere “compagni di gioco” tipico dell’età infantile. Il gruppo dei pari età diventa il riferimento primario per i ragazzi in alternativa a quello genitoriale. rappresentando la matrice, il “brodo primordiale” da cui possono successivamente svilupparsi le vere amicizie.

Lo spiega bene lo scrittore C.S. Lewis: «L’amicizia nasce dal semplice cameratismo quando due o più compagni scoprono di avere un’idea, un interesse o anche soltanto un gusto, che gli altri non condividono e che, fino a quel momento, ciascuno di loro considerava un suo esclusivo tesoro. 
La frase con cui di solito comincia un’amicizia è qualcosa di questo genere: ”Come? Anche tu? Credevo di essere l’unico…”.» (I quattro amori)

Il fatto di andare nella stessa scuola, di frequentare lo stesso ambiente, di praticare lo stesso sport, ecc. non comporta necessariamente l’amicizia. Chiunque condivida determinate esperienze rappresenta un compagno, ma soltanto chi, oltre a questo, avrà qualche altra cosa in comune diventerà realmente un amico.

Chi non possiede nulla non può dividere nulla; chi non sta andando da nessuna parte non può avere compagni di viaggio. (C.S. Lewis)

La meta o visione che accomuna gli amici non può essere il calcio, questo non ha la capacità di rappresentare il “punto di fuga” all’orizzonte verso cui possono convergere gli sguardi degli amici, perpetua solamente un modo di stare insieme infantile, da compagni di gioco.

Giocare a calcio infatti è un “fare insieme” qualcosa, non è cogliere quell’essenziale che è invisibile agli occhi (cfr Il Piccolo Principe) che rende l’amicizia qualcosa di più e di più profondo.
Fare insieme qualcosa, in questo caso praticare uno sport, aiuta a socializzare ma rende per sua natura solo compagni; l’amicizia, pur richiedendo la frequentazione, non è questo: si basa sul sentire e pensare insieme qualcosa e in questa condivisione differenziarsi dal resto dei compagni.
Questa visione comune, che guida il cammino fianco a fianco degli amici, porta nel tempo a sviluppare una profonda conoscenza e affetto reciproci tanto che l’amicizia si caratterizza inoltre per la benevolenza intesa nello stretto senso etimologico della parola: volere il bene dell’amico.

Come si esce da questo?

1) Innanzitutto sapendo ascoltare il “campanello di allarme” che può risuonare in determinate occasioni. Ascoltare un figlio che parla solo ed esclusivamente di calcio, di calciatori, di partite, di formazioni, di allenamenti, di fantacalcio… rappresenta per un genitore il “primo canto del gallo”: non bisogna arrivare al secondo.

2) Può essere opportuno iniziare un disinvestimento riguardo la riuscita agonistica di proprio figlio: siamo realmente sicuri che giocare bene a calcio, avere il posto da titolare nella squadretta più o meno blasonata della nostra città, partecipare al campionato regionale anziché provinciale…, sia ciò che più serve alla maturazione umana di nostro figlio?
O piuttosto è qualcosa che soddisfa una nostra aspettativa, che gratifica noi stessi per un risultato che magari non siamo stati in grado di raggiungere a suo tempo oppure che ci attribuisce un certo status nella nostra cerchia di amici?

3) É necessario adoperarsi a partire dall’infanzia e, sicuramente dalla pre-adolescenza, per favorire occasioni che possano suscitare nel ragazzo altri interessi e passioni senza abbattersi per probabili insuccessi. Sarà un processo lungo e faticoso, costellato magari da numerosi fallimenti. Ci sarà richiesto di uscire dalla nostra “comfort zone” e dedicare tempo di qualità e in quantità per svolgere attività con nostro figlio o per consentirgli di compiere determinate esperienze alternative.

Solo la passione smodata per il calcio può avere questi effetti collaterali?
Evidentemente no: ogniqualvolta la pratica sportiva, sia essa calcio, rugby, basket, ginnastica, nuoto, tennis, pallanuoto…, travalica la propria funzione, relativa, per diventare un assoluto cui sacrificare ogni altra possibilità di scoprire passioni alternative in ambiti diversi, si corre il rischio di limitare la capacità di sviluppare in futuro nel ragazzo profonde e significative relazioni amicali.

Fortunatamente esistono anche (rare) società calcistiche giovanili dove viene posta attenzione agli aspetti educativi del bambino o ragazzo prima ancora del raggiungimento di risultati sportivi di eccellenza, e dove magari i loro sforzi sono frustrati invece dalla mancanza di sensibilità educativa dei genitori che si accaniscono riguardo alla sola riuscita calcistica dei loro “campioncini” in erba. Si trovano “mister” interessati a insegnare calcio facendo divertire i bambini, distaccandoli dall’attenzione ai soli risultati sportivi privilegiando la relazione fra loro e con gli adulti di riferimento. Ma non sono la maggioranza e comunque ciò non è sufficiente se manca la dovuta attenzione alle necessità educative dei propri figli da parte di noi genitori.

Attenzione: non voglio sostenere che il calcio, e la pratica sportiva in generale, non abbiano una loro importanza nello sviluppo psicofisico dei nostri figli. Tutt’altro. Sottolineo unicamente il rischio che diventi un’esperienza esclusiva, “totalizzante” e che privi i ragazzi della sperimentazione in altre attività, in ambiti alternativi allo sport. La formazione umana non si può limitare alla sola pratica sportiva.
Nell’infanzia e nell’adolescenza è infatti di fondamentale importanza la sperimentazione continua, talvolta incoerente, che permette di scoprire interessi, propensioni, possibilmente passioni. Le stesse che potranno non solo favorire la nascita e il consolidamento di vere amicizie con coloro che vibrano per le stesse “visioni” ma anche guidare il ragazzo verso la propria realizzazione futura, a trovare “il suo posto nel mondo”.